Livietta e Tracollo

G.B. Pergolesi (1710-1736)

Livietta e Tracollo

intermezzo in due parti

Sinfonia in FA
Maestoso sostenuto, Andante grazioso, Allegro 

una produzione della Fondazione Brunello e Federica Cucinelli

Personaggi ed interpreti:
Livietta, Federica Giansanti
Tracollo, Leonardo Galeazzi
Fulvia, Elena Marrone
Facenda, Graziano Sirci
I Villani

Video maker
Lorenzo Dionigi

Regia, scene e costumi
Paolo Baiocco

Accademia Hermans
(con strumenti originali)

Fabio Ciofini
clavicembalo e direzione


Intermezzo “gemello” e certamente meno noto de La Serva padrona, composto a solo un anno di distanza, Livietta e Tracollo (con il titolo di La Contadina astuta) andò in scena al Teatro San Bartolomeo di Napoli il 25 ottobre del 1734 in occasione del compleanno della Regina Elisabetta di Spagna, “riempendo” i due intervalli di Adriano in Siria, secondo la prassi ormai ventennale di inserire un titolo comico in due parti all'interno della rappresentazione di un'opera seria in tre atti. Una pratica esclusiva del teatro italiano e decisamente sui generis, che contrapponeva la vis comica e l'esiguità di mezzi sufficienti agli intermezzi al linguaggio aulico e decisamente più statico del teatro “maggiore”, a cui venivano riservate le risorse più ampie. Ciononostante, la storia degli intermezzi è anche quella di un cammino autonomo, che porterà ben presto (la celebre rappresentazione parigina de La Serva padrona del 1752 che scatenò la querelle des bouffons ne è solo una testimonianza) gli esili ed essenziali titoli comici ad essere rappresentati e applauditi in totale autonomia anche fuori dai confini nazionali. In questo contesto, Livietta e Tracollo fu tra gli intermezzi più popolari ed eseguiti della metà del Settecento: rappresentato in tutta Italia (Roma, Milano, Venezia, Genova, Firenze, Bologna), si diffuse negli anni '40 anche in Europa (Praga, Vienna, Amburgo, Lipsia, Copenaghen, Parigi, Dresda, Brunswick), subendo numerosi rifacimenti e pastiches, anche in questo caso, secondo la prassi dell'epoca (se i nomi dei protagonisti restano ovunque pressoché invariati, tra i titoli citiamo almeno Il ladro finto pazzo, La finta polacca, Il Tracollo, Il ladro convertito per amore, Le Charlatan e i due rifacimenti goldoniani Il finto pazzo e Amor fa l'uomo cieco per Pietro Chiarini).

Il libretto, anonimo, è attribuito (Florimo, Scherillo) a Tommaso Mariani, attivo dagli anni '20 e già autore di intermezzi per Feo (Nerina e Don Chisciotte) e Sellitti (La Vedova ingegnosa e La franchezza delle donne), tutti inseriti in quella che sarà l'ultima stagione del San Bartolomeo (1734-35), chiuso definitivamente nel 1737 per volere di Don Carlo di Borbone, giunto a Napoli all'inizio del 1734 e promotore della sostituzione di “balli” agli intermezzi. Accanto a Mariani, protagonista di quell'ultima gloriosa pagina del San Bartolomeo fu la coppia formata dal soprano Laura Monti e dal basso Gioacchino Corrado, “virtuoso della Real Cappella” napoletana, entrambi protagonisti dei titoli sopra citati e veri e propri “specialisti” del genere, che, come noto, richiedeva specifiche qualità attoriali oltre che vocali. Va detto che i libretti di Mariani (e quello di Livietta e Tracollo non fa certo eccezione) sono di qualità piuttosto dubbia, a differenza, per esempio, del libretto della “sorella maggiore” La Serva padrona, steso con mirabile puntualità da Gennarantonio Federico. Le tematiche abusate, le situazioni stereotipe (di provenienza per lo più veneziana e napoletana), la volgarità del linguaggio ne fanno un esempio di una certa mediocrità, riscattato – e non poteva essere altrimenti – solo dalla veste musicale di Pergolesi.

La vicenda si snoda esilissima verso il lieto fine con il matrimonio dei due protagonisti, attraverso una serie di travestimenti e inganni: Livietta travestita da uomo francese, Tracollo nei panni di una polacca incinta, Livietta che finge di essere in punto di morte, Tracollo che, infine, si spaccia per  astrologo pazzo. Ruolo fondamentale hanno qui, come del resto nel caso del Vespone de La Serva padrona, i due mimi: Facenda, complice di Tracollo, e Fulvia, compagna di Livia, oltre a un gruppo non meglio precisato di “contadini” che minacciano di percuotere Tracollo nel secondo intermezzo; caratteristiche che, una volta di più, sottolineano la natura “altra” degli intermezzi nel panorama teatrale settecentesco e il loro debito con il mondo della commedia dell'arte e dei suoi “lazzi”. Musicalmente l'intermezzo primo si apre con l'aria di Livietta “Vi sto ben, vi comparisco”, seguita dal recitativo “Ma lasciamo gli scherzi” con cui la protagonista en travesti tenta, chiedendo a Fulvia di fingersi sua sorella e di simulare il sonno, di ingannare il ladro Tracollo, a sua colta travestito da mendicante polacca incinta (aria “A una povera polacca”). Il recitativo che segue (“Ah voleur, assasin”) segna l'incontro tra i due, sovrapponendo al meccanismo del travestimento quello del fraintendimento linguistico, tra il francese maccheronico di Livietta e le battute in dialetto di Tracollo e si chiude con l'aria “di sdegno” di Livietta (“E voi perché venite”), non a caso “inviperita” (“sarebbe bella questa, che avessimo a servirvi, che avessimo a spassarvi e divertirvi per i begl'occhi vostri”) e di conseguenza assai vicina (mai come nel mondo dell'intermezzo nomen omen!) alla Serpina di “Stizzoso mio stizzoso” in questa sua “rivendicazione di ruolo”.

Vero topos del genere è l'accompagnato di Tracollo (“Misero! A chi mi volgerò!”), citazione del registro “alto” dell'opera seria, nel suo invocare “Proserpine, Plutoni, Idre, Cerberi, Sfingi, tempestose tempeste”. L'aria di Tracollo “Ecco il povero Tracollo già vicino a tracollar”, con il suo armamentario di imitazioni e onomatopee, e un breve recitativo che segue, conducono al consueto duetto di chiusura dell'intermezzo primo (“Vado... vado...”). Il secondo intermezzo si apre sull'inedito registro evocativo dell'aria “Vedo l'aria che si imbruna” in cui Tracollo si finge astrologo (“sono... sono il gran Chiaravalle di Milano”). Un nuovo contrasto tra i due porta alla finzione del malore di Livietta, alla sua aria “pietosa” (“Caro perdonami”) e al secondo accompagnato di Tracollo (“La credo o non la credo”, gemello dell'indecisione di Uberto in “Ah poveretta lei”, sempre ne La Serva padrona), seguito dall'aria “Non si muove”, con l'allegro “Sull'erbetta” in forma quadripartita. Un breve recitativo di riconciliazione conduce al duetto conclusivo (“Sempre attorno qual colomba”).

© Silvia Paparelli

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